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Il Crocifisso di Varano: l'emblema del fascino di un luogo senza tempo

Ischitella (Foggia) – In una distesa verde pianeggiante che costeggia le sponde del lago di Varano spicca una chiesetta solitaria, quella della SS. Annunziata. Della Chiesa non disponiamo di molte notizie, ma i documenti più antichi risalgono all’inizio del XVI secolo.

Agli occhi del visitatore, in questa stagione, si presenta uno scenario particolarmente suggestivo: un’ampia distesa verde puntellata di ulivi, piante e rovi costeggia le sponde del maggiore lago costiero italiano, il Lago di Varano. Nel bel mezzo di questo paesaggio si erge una piccola Chiesa solitaria, dalla facciata semplice e dalle forme lineari, rivestite di un bianco che irradia di luce l’area circostante. In questa contrada, anticamente chiamata “Castrum Bayranum”, la presenza dell’uomo è testimoniata sin dal Paleolitico superiore e attorno alla storia della sua Chiesa si addensano numerose leggende popolari.

La più accreditata narra dell’esistenza di una città, Uria, governata dal re Tauro, noto soprattutto per la sua cattiveria. Tutt’oggi, quando il vento soffia increspando la superficie dell’acqua, pare si senta uno strano vocio sofferente associato proprio a questa misteriosa figura. Nella cittadina assediata dalle brutalità che si susseguivano, si distinse positivamente una giovane donna per la sua dedizione alla preghiera e al lavoro. Una mattina Nunzia (era questo il suo nome) si svegliò avvolta da un improvviso silenzio: le acque del Lago, durante la notte, avevano sommerso l’intera città.

A salvarsi fu solo la Chiesetta, come segno di buon auspicio e di possibile rinascita. Un’epigrafe del 1509 testimonia l’esistenza di questo tempio in miniatura, la cui preziosità è racchiusa nella presenza, al suo interno, di un miracoloso Crocifisso ligneo. Quest’ultimo si pensa sia stato ritrovato dai pescatori sulle rive del Lago, proprio dove sorge l’antica Chiesa. Un’altra ipotesi vuole che il Crocifisso sia stato nascosto in una grotta da parte dei Saraceni, che durante le frequenti scorrerie non riuscirono a portarlo via.

Il 23 aprile 1717 divenne una data memorabile per le comunità della zona. Una lunga siccità colpì il territorio compromettendone i raccolti e diffondendo il terrore tra le famiglie del posto, preoccupate per l’eventuale mancanza di cibo. Si decise, a causa della triste calamità, di portare in processione il Crocifisso fino al Paese (Ischitella), nella speranza che il Signore potesse provvedere alla disgrazia.

Al ritorno dal faticoso cammino cominciarono inaspettatamente a scendere dal cielo delle gocce di pioggia che rinvigorirono i raccolti, facendo rifiorire le speranze. Da quel momento il Crocifisso si trasformò in un delicato oggetto di culto per le comunità locali e il miracolo si ripeté negli anni successivi tanto che divenne consuetudine scegliere, il 23 aprile di ogni anno, di ripetere il fortunoso rituale.

Quando un raggio di sole penetrava dalla porta principale della Chiesa per poi raggiungere l’altare la processione prendeva avvio. Si partiva per poi tornare, dopo innumerevoli passi, al sorgere del sole con una sola speranza: quella di trovare la pioggia. Il fascino della vicenda del Crocifisso ha scatenato la fantasia dei cittadini, che nel tempo hanno ipotizzato diverse teorie per giustificarne la nascita.

Qualcuno afferma che si tratti di un vero ritratto del Salvatore, scolpito in epoca molto vicina alla sua morte; altri ancora affermano che l’autore potrebbe essere stato San Luca l’evangelista, protettore dei pittori. A lui fu attribuito un racconto popolare in cui Gesù, meravigliato dalla realisticità della prodigiosa opera, apparve pronunciando tali parole : “Luchist, addov’ me vidist, che tant bell mi facist?” (Luca, quando mai mi hai visto per avermi ritratto così bene?).

Questo poiché l’Evangelista dichiarò di non aver mai conosciuto Gesù, se non attraverso i documenti. In un luogo intriso di una spiritualità che risveglia la curiosità, suscitando lo stupore di chiunque lo visiti, si tramandano queste storie senza tempo, dense di significati ben più che mistici.

Fonte: http://www.gargano.it/

Marilea Poppa

Ventenne, Studentessa di Lingue e Culture moderne e aspirante giornalista. Scrive di arte, letteratura e sport per testate giornalistiche online. Il suo motto è: “la cultura cura” (culture heals) a dimostrazione di come la promozione e la divulgazione della Cultura, in tutte le sue forme, possa essere una terapia vitale oltreché uno stile di vita.

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