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I mesi dei divertimenti a Foggia

Foggia – All’alba dell’ultimo venerdì di aprile, con la Cavalcata degli Angeli ha inizio il periodo annuale di apertura del santuario della Madonna dell’Incoronata, che fino a poco di un secolo fa si allacciava ad una serie di festeggiamenti cittadini, dato che l’impresa disponeva di una sola vettura, in carrozzella o prendendo posto, con venti centesimi, in un carretto dei crocesi che posteggiavano affiancati alla Caserma dei Carabinieri di Piazza Cavour.

La gita valeva per invocare la grazia della Madonna nera, ma anche per consumare lietamente, la merenda sul verde tappeto del bosco, allora in piena vegetazione. I quaranta giorni di apertura del Santuario offriva ai popolani la possibilità di godere il quotidiano passaggio, per le vie cittadine, di numerose compagnie di pellegrini salmodianti che provenivano dai più lontano comuni del mezzogiorno, diretti al santuario dell’Incoronata, di san Michele Arcangelo e di san Nicola.

Era un pittoresco quadro rappresentato dai caratteristici vestiti dei pellegrini, che, talvolta sostavano sulle piazze per consumare il frugale cibo che recavano dai paesi d’origine. Ma se il popolo si accontentava di così modesti diversivi al contrario la noblesse ed il ceto medio avevano modo di passare diversamente le serate primaverili. A fine aprile o al più tardi ai primi di maggio l’impresa designata annualmente per concorso e col pagamento di un canone, dalla Commissione teatrale municipale, ora abolita, come in materia di concessione del teatro è stato tutto semplificato, apriva i battenti del Teatro Dauno, nel 1929 il podestà Alberto Perrone gli dette il nome di Umberto Giordano, per la stagione d’opera che durava tutto maggio; protraendosi, talvolta, fino ai primi di giugno. Erano serate affollate, dovute alla passione del nostro popolo per la musica lirica e alla garanzia della perfetta esecuzione degli spettacoli.

Nel frattempo, si avvicinava la ricorrenza della grande Fiera del bestiame e dell’artigianato agricolo, che costituiva la rassegna dell’attività produttiva provinciale richiamando nel capoluogo allevatori e rurali, indigeni e forestieri, molti dei quali Paesi della sponda dalmata. Per l’occasione i nostri negozianti provvedevano alla ripulitura delle botteghe e dell’esposizione delle ultime novità. A loro volta, alberghi, caffè, ristoranti rinnovavano l’attrezzatura degli esercizi; ciò rispondeva ad una tradizione, tanto vero che durante l’anno ad ogni proposta di rinnovamento gli esercenti rispondevano: alla fiera si pensa. Frattanto sul piano delle fosse a partire dall’angolo di Via Manzoni fino alla Chiesa di San Rocco e all’altezza della Chiesa di San Giovanni Battista, cominciavano a prendere posto, i baracconi della donna barbuta, delle statue di cera, delle vedute, dell’africano che masticava pezzi di carbone accessi ecc. i cui imbonitori, durante la sera, con i tromboni e tamburi facevano un chiasso infernale per richiamare l’attenzione del pubblico.

Nel contempo sulle piazze e vie adiacenti agivano tiri a segno e donne con gli occhi bendati che per due soldi indovinavano la fortuna. In un largo recinto tra via Castiglione e via dei Conciatoi agiva il solito circo equestre o il serraglio. Come si vede era un concentramento di acrobati, ciarlatani, saltimbanchi, che dava la possibilità di passare divertita l’intera serata, riuscendo ad attrarre anche molte famiglie forestiere, che per la mancanza di mezzi rapidi di trasporti erano costrette a trattenersi in Foggia per qualche giorno, compiendo la rituale visita all’Incoronata e assistendo a una o due recite teatrali. La fiera durava dal 25 al 30 maggio; durante la settimana il piano delle fosse accoglieva migliaia di capi di bovini ed equini, mentre le pecore e agnelli sostavano sui tratturi delle vie per Lucera, Manfredonia, San Severo, Troia.

Centro degli affari era l’antichissima via Arpi, dove prendevano posto i venditori ambulanti. Data la scarsa quantità di alberghi e locande, molti comprovinciali con le famiglie alloggiavano nelle case private delle vie Manzoni, Cappuccini, San Lazzaro, pagando per due o tre sere da un minimo di 12 lire al massimo di 20. Con la chiusura della fiera , del teatro e del Santuario , lo smantellamento dell’ultimo baraccone , la cessazione del passaggio dei pellegrini ogni attrattiva e divertimento terminava ; cominciava il periodo di intenso lavoro per la raccolta dei cereali e l’organizzazione delle feste religiose che si svolgevano con grande sfarzo di luminarie ad olio, bande musicali , fragorose batterie , fuochi pirotecnici , innalzamento di globi aerostatici , palio della cuccagna , dei maccheroni, del sacco e dei ciucci , quest’ultimi due erano specialità della festa di Sant’Anna.

Durante i mesi di giugno e luglio sarti e calzolai lavoravano con lena per accontentare grandi e piccoli clienti nella confezione di abiti e scarpe, dei quali si faceva sfoggio durante la stagione estiva e nelle giornate di Ferragosto.

A cura di Ettore Braglia

Redazione

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