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‘A ròte: dove si abbandonavano i neonati a Foggia

Ogni città ha la sua storia, a volte fatta di ombre, misteri e pianti come quelli dei neonati abbandonati dalle madri. Figli di nessuno, i trovatelli, gli esposti, i neonati non voluti che caratterizzavano le città del passato. Già nel XIV secolo in molte città italiane funzionavano istituti che si occupavano dei bambini abbandonati, come, ad esempio, quello di Santa Maria di San Gallo a Firenze.

Come dimenticare l’apertura dell’Ospedale Santa Maria degli Innocenti a Firenze, il cui esempio fu seguito da iniziative simili nelle altre città italiane, come Milano, Torino, Venezia, e per il Mezzogiorno, Napoli, dove la Santa Casa dell’Annunziata di Napoli era il più grande e importante istituto per i trovatelli di tutto il Sud.

Nella Capitanata non vi erano istituti specifici adatti ad accogliere e a curare i piccoli abbandonati, così, i trovatelli, venivano portati a Napoli sui carretti guidati dai cosiddetti “bastardari”.

Abbandonare un figlio è forse l’atto più estremo che una madre possa fare, e a quel tempo, oltre alla miseria, vi era la mentalità dell’epoca rigida e legata a schemi morali che condannavano i figli illegittimi e le donne che decidevano di crescerli.

Inizialmente i bambini venivano lasciati per strada, nelle piazze e nei mercati – venivano scelti questi posti affollati con l’intento di un ritrovamento veloce – di notte o nei giorni di festa per confondersi tra la folla.

Per rimediare a questo genere di abbandoni, papa Innocenzo III introdusse a Roma il sistema della ruota, che assunse diversi nomi a seconda del luogo: curlo, scafetta, pila, torno, buca e presepio. La ruota era un congegno rappresentato da una bussola di legno rotante su un’asse verticale e munito di uno sportello aperto in corrispondenza di una fessura posta sull’esterno della strada, dove il bambino poteva essere lasciato.

Girando la ruota il piccolo si ritrovava all’interno di un ricovero, di una chiesa o di qualsiasi altro luogo di accoglienza. Accanto alla ruota, vi era un campanello, con il quale si avvisava della presenza di un bambino all’esterno di essa.

La “pia ricevitrice”, incaricata della ricezione dei bambini abbandonati e stipendiata dal comune, si occupava delle prime cure dei piccoli, abbandonati solitamente dopo il tramonto o alle prime luci dell’alba.

A Foggia la ruota fu collocata in un vico, denominato Vico Projetti, oggi chiamato Vico della Pietà, presso la casa di Loreto Ciarletta che la gestiva con la moglie, percependo un compenso di 32 centesimi per ogni bambino trovato. La ruota di Foggia entrò ufficialmente in funzione il 20 settembre 1802, la prima trovatella fu Raffaela di Gennaro.

A Foggia, così come nei centri demograficamente più rappresentativi della Capitanata – Lucera e San Severo -, il numero degli esposti raggiunse quote assai alte. Nella prima metà dell’Ottocento, i bambini abbandonati a Foggia rappresentavano il 6,5% del totale delle nascite, con la punta massima nel 1817, pari ben all’11,7%.

Una vera macchia scura nella storia della nostra città, come in quella di tante altre città italiane, una ruota che cambiava la vita – sia quella di chi abbandonava che di chi veniva abbandonato -, una ruota che segnava per sempre la vita dei figli “di troppo”, di quelli che sarebbero poi stati definiti “i figli della ruota”.

L’utilizzo della ruota venne abolito da Mussolini nel 1923, tuttavia questo congegno venne reintrodotto nel 1952. In Paesi in cui non è legale per le madri partorire in forma anonima, la ruota è stato l’unico modo possibile per lasciare in modo sicuro il loro bambino.

Oggi l’antica “ruota degli esposti” è diventata un meccanismo più avanzato sia da un punto di vista tecnologico che sanitario. Dal 2006, a Roma, la ruota ha ripreso a funzionare, presso il Policlinico Casilino, con un presidio denominato “Non abbandonarlo, affidalo a noi”.

Redazione

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