Storie di successo

Gianmarco Saurino: dal successo della fiction di Rai1 alla preoccupazione per il mondo della cultura

Ha riscosso grandissimo successo la fiction “Doc – nelle tue mani” andata in onda su Raiuno.

La serie, ispirata al libro “Meno dodici”, racconta la storia vera del medico Pierdante Piccioni ex primario a Codogno e Lodi che ha perso dodici anni di memoria per un incidente, ma anziché ritirarsi con una pensione di invalidità è tornato in corsia. 

Tra i protagonisti della fiction, troviamo il giovane attore foggiano Gianmarco Saurino.

La serie ha registrato una media di otto milioni di spettatori con picchi di ben nove milioni. Vi aspettavate tutto questo successo?

Sarebbe improprio dirti di si così come dirti no. Quando ci hanno presentato il progetto, io e gli altri attori ci siamo conosciuti e abbiamo potuto leggere la sceneggiatura per capire come si sarebbe sviluppata la vicenda.

Capimmo, subito, che si trattasse di una serie con delle qualità. Certo, soprattutto in questo Paese, la qualità non determina il successo, quindi, non ci aspettavamo questi numeri.

Se poi pensiamo che la serie è andata in onda in questo periodo particolare, abbiamo avuto il dubbio che potesse essere controproducente trasmettere le vicende di medici e ospedale in un periodo in cui se parla in tutti i telegiornali.

Infatti, tutti i giovedì, siamo stati ad aspettare i risultati, rivelatisi un trionfo. La prima puntata poteva essere un’eccezione, la seconda una conferma, ma la terza e quarta è stata l’apoteosi.

Sicuramente, la quarantena sta costringendo un pò di gente a restare in casa e questo potrebbe averci aiutato, però, abbiamo totalizzato dei numeri che vanno oltre quelli di altre serie realizzate in Italia.

Se poi si pensa che la fiction è stata girata da due registi a stento quarantenni, con un protagonista (Luca Argentero, ndr) anch’esso quarantenne e un cast di giovani con un’età media di venticinque anni, è una serie fresca, giovane, tratta da una storia vera ed è sicuramente un grande risultato. 

Infatti, ha praticamente registrato ascolti paragonabili a “Il Commissario Montalbano” e ai tempi d’oro di “Un Medico in Famiglia” …

Sì, ci stiamo riferendo ad altri tempi nel senso che, se penso ad Un Medico in Famiglia non c’era la possibilità di poter scegliere nel panorama delle piattaforme, quindi Rai1 aveva il monopolio.

Era, sostanzialmente, una battaglia impari. Se pensiamo a Il Commissario Montalbano si tratta di una serie strutturata in un certo modo, scritta da un grande come Camilleri che già da solo farebbe oltre quattro milioni di telespettatori.

Insomma, numeri assicurati per quanto meritati. Invece, una nuova serie, alla prima stagione con un protagonista conosciuto ma che non ha mai ricoperto questo ruolo precedentemente, non ci si aspetta tutto questo successo. Siamo contentissimi.

Com’è stato vestire i panni del dott. Lorenzo Lazzarini? Anche in considerazione dell’attuale situazione di emergenza, per il Covid-19, in cui la figura dei medici è accostata a quella degli eroi. 

È stato pesante già prima che iniziassimo a girare. Tutti noi sentivamo il peso di indossare il camice perché comunque stiamo parlando di storie di professionisti incredibili.

Devo dire che, poi, la situazione che si è venuta a creare ha raddoppiato il peso di quel camice. Credo che la serie abbia un grande pregio: quello di raccontare storie di esseri umani, nel senso che si racconta molto di più chi c’è sotto quel camice.

Quindi, i loro dubbi, le paure, le incertezze e tutte quelle cose che contraddistinguono un essere umano. Più che supereroi, li definirei eroi nel senso che l’eroe ha paura. Ci siamo sentiti orgogliosi e inappropriati.

Puoi darci qualche anticipazione, soprattutto rispetto alle vicende che coinvolgeranno il tuo personaggio?

Il mio personaggio assumerà un ruolo importante nell’ultima parte della serie. Nelle puntate che sono già andate in onda, Lorenzo ha avuto la funzione di sviare quello che c’è sotto questo personaggio.

Non posso aggiungere altro, se non che ci saranno tantissime evoluzioni e soprese anche nella seconda parte della fiction.

Tornando alla situazione attuale, anche la categoria dello spettacolo sta vivendo un profondo periodo di crisi e le prospettive future non sono delle più rosee. A tuo parere, è possibile coniugare la ripresa delle attività artistiche con la sicurezza sanitaria?

Non faccio il politico nè il medico, quindi non ne ho idea. Però, penso che il dovere di un politico sia quello di dover parlare anche di certi temi. Il fatto che, in questo Paese, si continui a parlare solo di riapertura delle fabbriche, ignorando il mondo dello spettacolo e della cultura che sono un indotto incredibile – soprattutto in un Paese che detiene l’80% delle bellezze culturali del mondo, – credo che sia assolutamente stupido, vergognoso e irresponsabile.

Da operatore del mondo della cultura non saprei dire quando gli spettacoli si potranno fare. Penso, soltanto, che dovremmo essere tutelati e che la gente che attacca Tiziano Ferro, circa la sua richiesta di fare chiarezza sulle date dei concerti, è il frutto di questi ultimi anni di politica dell’odio.

Gli attori hanno il dovere di parlare a nome di chi sta ‘sotto’, ovvero, fonici, montatori, scenografi, sceneggiatori e tutta una parte infinita e invisibile del mondo dello spettacolo. Se, durante le conferenze stampa, oltre al Primo Ministro e al Ministro della Salute ci fosse anche quello della Cultura daremmo un grande segnale di avanguardia.

Altrimenti, continuiamo a pensare che le fabbriche siano l’unico modo in cui questo Paese può andare avanti. Invece, i teatri sono stati i primi posti ad essere chiusi (e gli ultimi a riaprire, ndr) rappresentano la categoria meno protetta, in questo periodo.

C’è qualcuno che vuole parlare di loro? Per carità è necessario parlare dei lidi e di come andremo in vacanza questa estate, ma non basta.

In questi giorni di quarantena gli artisti stanno lanciando dai loro canali social messaggi di speranza e augurio. Cosa ti senti di dire ai foggiani? 

Mi auguro che questo periodo restituisca, a ciascuno di noi, un senso di collettività. Se a cinquecento metri da casa abita la nonna, sono consapevole che non posso uscire di casa non solo perché ho paura del virus ma perché non è giusto, perché se tutti facessimo un gesto per la collettività riacquisteremmo il senso di gruppo più che l’individualismo.

Valerio Palmieri

Giornalista praticante, laureato in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Foggia. Laureato in Filologia moderna con 110 e lode. Da sempre sono appassionato di scrittura e, dopo varie collaborazioni, da gennaio 2017 sono redattore di Foggia Reporter. Mi occupo principalmente di politica, eventi religiosi e interviste. Sono convinto che la comunicazione digitale sia lo strumento più efficace per attuare quella rivoluzione culturale che tanto bene può fare al nostro territorio locale e nazionale.

Articoli correlati

Pulsante per tornare all'inizio