Costume e società

Il gioco della guerra ne “La paranza dei bambini” di Roberto Saviano

“La paranza dei bambini”, il film di Claudio Giovannesi tratto dal romanzo di Roberto Saviano ha ricevuto il premio per la miglior sceneggiatura della 69ma edizione del Festival di Berlino. Tempo fa per la nostra rubrica “Book Reporter”, dedicata ai libri e ai lettori, vi avevamo parlato del romanzo del noto autore napoletano.

Saviano, lo scrittore che viene definito “sputtanapoli” perché racconta la ferita di una città che, in parte, guarda ancora male chi racconta e non chi agisce, descrive la camorra 2.0, fatta da “mini-boss” strafottenti, violenti, con l’adrenalina a mille che si muovono in una città fantasma. Sì, questa è l’immagine di Napoli che viene fuori dall’ultimo romanzo “savianiano”, non poi così lontana da quella di Gomorra.

Come nella paranza di mare questi ragazzini sono merluzzi non cresciuti del tutto, hanno nuotato troppo poco, attratti da barche che vanno a pesca di notte per ingannarli con la luce. I pesci inseguono la luce elettrica, sono attratti da questo sole artificiale. Si lanciano e quando la luce si spegne si ritrovano l’uno accanto all’altro, nelle reti, si dimenano, sembrano impazziti, ma ormai la luce li ha traditi. Sono morti. Da soli non hanno valore, sono scarti, ma raccolti e fritti insieme diventano una prelibatezza.

Devono stare insieme, così come erano insieme in mare devono esserlo nell’olio bollente e sotto i denti. Tutto deve essere veloce: sono pescati velocemente, fritti velocemente e mangiati velocemente quando sono ancora caldi. Così sono i ragazzi di Forcella, Nicolas (il protagonista, detto “Maraja”), Briatò, Tucano, Dentino, Lollipop e gli altri, attratti dalla luce tentatrice di soldi facili. Un solo comandamento per loro: vivere il presente, magari vivere il meno possibile ma nel migliore dei modi possibili.

Quella del Maraja è una paranza che si aggira per le vie di Napoli in sella ai motorini con le armi infilate nei pantaloni, si allena sui tetti dei palazzi a sparare con i mitra e segue modelli come Genny Savastano, Walter White di Breaking Bad, il giocatore di poker sfacciatamente ricco Dan Bilzerian e persino i terroristi dell’Isis. Sono quindicenni che fanno tatuaggi di gruppo, amano follemente le fidanzate, si riuniscono in un covo e agiscono d’istinto, senza farsi troppe domande.

"La paranza dei bambini", ultimo libro di Roberto Saviano
“La paranza dei bambini”, ultimo libro di Roberto Saviano

Non hanno paura delle conseguenze, non hanno paura di niente, o almeno credono. Si sentono più uomini dei loro padri mentre si improvvisano camorristi e iniziano a giocare con le pistole, ridono mentre iniziano il gioco più spaventoso di tutti, quello della guerra che ti marchia per sempre. «Il lavoro è degli schiavi. In tre ore di fatica guadagniamo quello che mio padre guadagna in un mese», queste le parole di Nicolas Fiorillo, figlio di un professore di educazione fisica. Lui sputa in faccia al lavoro del padre, al lavoro di tutti. Perché lavorare se si può comandare Napoli?

Si deve comandare a tutti i costi. A pagina 115 Nicolas legge con tutto l’orgoglio che ha in petto il diciassettesimo capitolo del Principe di Machiavelli: «Uno che deve essere il principe non si cura se il popolo lo teme e dice che mette paura. Uno che deve essere principe se ne fotte d’essere amato, che se sei amato quelli che ti amano lo fanno finché tutto va bene. […] Meglio tenere la fama di essere un maestro di crudeltà che di pietà». Lui vuole essere il principe, lui vuole tutto, poco importa se dovrà farsi dei nemici, ciò che conta e non avere paura ed essere rispettato. O sei fottuto o fottitore, queste sono le due categorie in cui si divide il mondo per Nicolas.

Questo libro è più umano dei precedenti, gli adulti guardano la performance dell’orrore recitata da questi bambini, sono bambini e così bisogna chiamarli. Gli adulti hanno sotto gli occhi ogni giorno le scene descritte in queste 346 pagine crude, schiette che feriscono come tagli sulla pelle, bruciano. Più che un semplice libro, l’ennesimo sulla camorra, questo sembra essere un invito rivolto al mondo dei genitori ad aprire gli occhi e a capire come quelli che chiamano bambini siano diventati cuccioli “nati imparati” che seguono l’odore del potere. Devono avere tutto e subito, il domani non esiste. “Non c’era tempo da perdere. Non c’era tempo per crescere”, dice Saviano.

Annarita Correra

Mi chiamo Annarita Correra, ho 28 anni, sono una giornalista pubblicista, una copywriter, content creator e cantastorie. Credo che la bellezza salverà il mondo e per questo la cerco e la inseguo nella mia terra, la più bella del mondo. L’amore per la letteratura mi ha portato a conseguire la laurea triennale in Lettere Moderne e quella magistrale in Filologia Moderna. Ho collaborato con riviste online culturali, raccontando con interviste e reportage le bellezze pugliesi. La mia avventura con Foggia Reporter é iniziata cinque anni fa. Da due anni curo la linea editoriale del giornale, cercando di raccontare la città e la sua provincia in modo inedito, dando voce e spazio alla cultura e alle nostre radici. Scrivo e creo contenuti digitali, gestisco la pagina Instagram del giornale raccogliendo e raccontando le immagini più belle delle nostra terra.

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