Orecchiette, taralli e fritture a profusione: la tipica immagine della nostra bella Puglia a tavola. A volte, però, dietro un piatto tradizionale, noto quasi in tutto il mondo, vi si celano ingredienti spesso sconosciuti a molti e pietanze mai assaggiate, nemmeno dagli abitanti più vicini.
Un esempio? In Daunia, dal Gargano ai Monti Dauni, vi sono ricette inusuali e gelosamente custodite da mamme e nonne agli occhi indiscreti di curiosi e turisti. Autentiche specialità da assaporare esclusivamente nei paesi di produzione.
Una farrata manfredoniana non si troverà mai al banco dei remenne a Sant’Agata di Puglia.
In quanti conoscono la manteca? La cugina della burrata, un formaggio fresco a forma ovoidale dal cuore burroso. Volturara Appula, Motta Montecorvino e Carlantino ne hanno il primato grazie all’arte della zangolatura del burro con lo speciale legno di faggio.
La manteca, infatti, ha un sapore dolce e sapido derivato, tra l’altro, dall’autentica salatura in stampi di pietra locale. Ogni manteca pesa circa 500g ed è l’ideale per calorici spuntini in montagna in compagnia di una buona fetta di pane nostrano.
E se di pane si parla, si rimane ancora sui Monti Dauni per assaggiare le Re mmenne (mammelle) di Sant’Agata di Puglia, un pane azzimo dalla forma tondeggiante in onore del martirio di Sant’Agata che nel 251 d.C. fu sottoposta alla bruta pena dell’amputazione dei seni.
Le re mmenne sono a base di un impasto rudimentale: farina integrale, priva di lievito, semplice da cucinare sulla pietra in quanto la pasta esterna necessita una maggiore cottura rispetto all’interno. Il risultato è la sofficità e il profumo di un pane d’altri tempi.

Spostandosi verso il Golfo di Manfredonia, le papille fanno festa al profumo orientaleggiante della farrata. Maggiorana, cannella, grano, pepe, ricotta di pecora e sale sono il ripieno perfetto per una pagnottina mangiata da più di duemila anni! Sarebbero stati i romani, o meglio i Patrizi, a diffonderne l’uso durante la Conferratio (nozze latine), donando una pagnotta di farro agli sposi.
Una pietanza pare così apprezzata da confermarsi come unico cibo commestibile in epoca cristiana durante il digiuno quaresimale. Oggi, la farrata si lega al Carnevale. A Manfredonia, infatti, non c’è coriandolo che si lanci senza dare un morso ad una corposa farrata.
Che non si confondano con i caucini perché, anch’essi si mangiano a Carnevale, ma a partire dal Natale! Fratelli dei calzoncelli con la mostarda, anche i caucini hanno una forma “a panzerotto”, ma farcito di ceci secchi, garofalo, miele, cacao, cannella e cognac. Una tradizione intramontabile sui tavolieri delle nonne in quel di Celenza Valfortore e San Paolo Civitate.

Non si può arrivare al dolce senza passare per i primi piatti. A San Severo i grandi pranzi hanno il sapore di zuppetta, una sorta di lasagna al forno made in Puglia composta da strati di pane raffermo, carne e brodo di tacchino, parmigiano e caciocavallo. Una preparazione molto lunga che unisce tutte le donne di famiglia in cucina e tutti gli uomini a tavola. La zuppetta è un piatto della tradizione natalizia, la cui ricetta è epica, non si trova da nessuna parte, se non dal ricordo della bisnonna.
A Castelnuovo della Daunia si fanno degli incontri davvero inaspettati: tavolieri ricolmi di maltagliati a forma di rombo. Né orecchiette né strascinate, ma zanghètte o tacconetti, pasta fresca all’uovo a base di semola di grano duro ed olio extravergine d’oliva. L’impasto, elastico e liscio, si riconosce nei piatti per la presenza di legumi. La morte loro? Ceci e fagioli!

Non male gli accostamenti tra pasta e verdure selvatiche. Per esempio, a Vico del Gargano e Sannicandro Garganico, due realtà dai forti costumi agropastorali, tutto ciò che si trova in natura non si risparmia. Oltre alla borragine e al mareciuolo, il pancotto è addolcito dalla salsapariglia nostrana, comunemente nota come stracciabraghe, una rampicante dai frutti rossi.
I “terrazzani” garganici sanno cosa significa raccogliere l’essenza di campagna e della Foresta Umbra con le 133 varietà di piante antiossidanti e vitaminiche. Se ne conoscono molte in cucina, tant’è che anche l’insalata di arance è condita con la succhiamele, l’orchidea di campo dal sapore zuccherino.

Da sempre, del “maiale non si butta via niente…” ed ecco come nasce la n’noglia, la salsiccia dei poveri di Faeto e Celle San Vito. Rigorosamente ricavata dalle parti più grasse maiale nero autoctono, la preparazione della n’noglia prevede l’essiccazione a bastoncino di legno per circa venti giorni, seguito dalla stagionatura e dalla cottura sotto cenere. È in questa fase che sfocia il sapore deciso del peperoncino, dell’aglio e del seme di finocchio selvatico amato dai più coraggiosi.

La mano che prepara le carni di maiale è più o meno la stessa anche per le carni di pecora, vitello o capra. La muschiska, ricavata dalle parti più magre, è di casa a Rignano Garganico. Il suo nome deriva dall’arabo musammed ovvero l’essicazione dei pesci e di carni, unico alimento reperibile durante la transumanza per i pastori di Arignano nel sistema doganale degli Aragonesi in Capitanata.
È bene ricordare, infine, che i cantucci esistono anche in Puglia e si chiamano pupatelli. Un biscotto a mezzaluna, molto diffuso nelle case di Deliceto e Monteleone di Puglia. Squisitamente farciti con mandorle, uova e farina, il loro impasto di frolla è tagliato in pezzetti.
La loro caratteristica principale è la doppia cottura, che necessita l’inzuppo nel latte per ammorbidirli un pò. Sono dolci poveri e, dunque, secchi permettendo di essere conservati per moltissimi giorni. Per questo, nella tradizione montana, erano le leccornie ideali per imbandire tavole da matrimonio e ricorrenze speciali.
Seppur duri, i dolci pugliesi sono sempre buonissimi. A confermarlo, i pupréte di Mattinata, mangiati in tutto il Gargano. Non chiamateli taralli, sono molto di più! Preparati ogni anno per la commemorazione dei defunti, la ricetta prevede ben 24 ore di lievitazione tra l’impasto e la realizzazione della forma a ciambella per la presenza del lievito madre fresco, farina e latte. Il sapore casereccio è ideale per la merenda dei più piccini e il post pranzo con un amaro per gli adulti.

Ingredienti semplici, ma dalla lavorazione complessa, che necessitano strumenti d’arte di nicchia, tradizionali e poco diffusi, molto importanti da custodire. Buon appetito!
Fonte: Ortalini, C.,“Paste d’Italia”, Touring Editore, 2003.
Stagnani, V., “Cucina vecchia buoni piatti di Puglia e Lucania”, Progedit, 2004.
Spada, L., “La cucina pugliese”, Newton manuali e guide, 2012
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